Ford Transit: il ricordo di tante vite fa

Nel 1970 abitavo a Palese, in IV traversa di via Macchie, alle spalle della chiesetta. Ci trasferimmo lì per un anno a causa di problemi con il lavoro di mio padre e mia madre. La casa era piccola, due stanze, cucinino e bagno, ma essendo in aperta campagna offriva moltissime possibilità di svago a me e mio fratello. Imparammo a distinguere un’ape da una vespa, imparammo a catturare le lucertole, a cacciare i cani randagi, a salire sugli alberi, a mangiare la frutta appena raccolta. Una scuola a cielo aperto, anche la scuola che frequentavo era “aperta”. Grazie al maestro Antonio Conese imparai la radice quadrata, la percentuale, la numerazione e le operazioni con sistemi binari, i diagrammi, l’analisi logica…. tutto questo in quarta elementare nel 1970.

All’epoca avevamo un furgone Ford Transit, giallo ocra, che rappresentava un elemento della famiglia. Era un “nonno” che ci accompagnava dappertutto: lavoro, scuola, mare, montagna. Per qualsiasi spostamento si usava il “nonno”. D’estate la famiglia partiva per le vacanze di una settimana sul Gargano. Si puliva il furgone, di mettevano materassi e vettovaglie e diventava il villino al mare per l’estate. Parcheggiavamo direttamente sulla spiaggia e il primo bagno si faceva alle sette del mattino. Naturalmente Vieste non era come la vedete adesso, noi eravamo gli unici che si permettevano questo lusso su una spiaggia di sabbia praticamente deserta. Aperitivo con le vongole crude che io e mio fratello raccoglievamo in quantità industriali e pranzo con focacce o panini.

Aver rivisto un Ford Transit, ormai solo lo scheletro, in uno “sfascia carrozze” mi ha fatto tornare in mente una delle emozioni più belle che ricordo.

Era appena iniziata la scuola e mio padre si sarebbe dovuto recare a Civitacastellana, in provincia di Viterbo, per caricare merce. C’era sempre stato questo mistero di Civitacastellana, che io e mio fratello cercavamo di indagare. Ma si restava sempre nelle supposizioni: fabbriche infinite, autostrade lunghissime, boschi, fiumi. La sera cenammo normalmente e andammo subito a letto (non avevamo il televisore, solo la radio AM). La notte mi sentii svegliare da mio padre:”Agostì, vuoi venire a Civitacastellana con me?”. Non credo di essere tanto bravo a spiegare cosa mi accadde e quale reazione ebbe il mio corpo. Posso soltanto dire che dopo cinque minuti ero lavato e vestito, pronto alla partenza, mentre mio padre finiva di allacciarsi le scarpe. Erano le tre e mezza di notte e il cielo senza luna era pieno di stelle incredibilmente luminose, sembravano le luci di Natale del Presepe. Avevo da poco compiuto i nove anni, ma quella notte mi sentivo un Lothar (assistente di Mandrake, per chi se li ricorda) alla conquista del mondo. Il furgone era freddo e le bocchette dell’aria calda a malapena riuscivano a scaldarmi le gambe, ma il pensiero di fare il viaggio con mio padre non mi faceva più sentire nulla. Guardavo il cielo, la strada, gli animali della notte nelle campagne, il contachilometri, il tachigrafo, la gestualità di mio padre alla guida, sentivo i rumori del motore, il cervello elaborava centinaia di informazioni al secondo e fotografavo con gli occhi ogni cosa che vedevo. Dopo aver superato il bivio di Cerignola, in autostrada, iniziò il gioco delle gallerie e dei viadotti: dovevamo contarle e vedere quali erano più lunghe o più pericolose. Al ritorno avremmo dovuto ricordare tutti i nomi delle gallerie e dei viadotti. Poco prima dell’alba si vedevano i primi cartelli che indicavano Roma ed io mi addormentai sul sedile, col viso appoggiato al vetro. Al mio risveglio mi ritrovai davanti un fienile gigantesco ed una distesa di terra bruna, molto diversa da quella pugliese. Nel furgone erano al lavoro gli operai della fabbrica che stavano sistemando le porcellane, sovrapposte e protette con paglia di fieno. Quell’odore intenso di paglia ci avrebbe accompagnato fino a Bari. Secondo la leggenda metropolitana quell’intenso odore di paglia salvaguardava le vie respiratorie, ma io e mio padre viaggiavamo a finestrini aperti, visto che l’ottobrata romana aveva temperature quasi estive. A mezzogiorno ci fermammo al mitico Motel Sassacci, vicino Magliano Sabina, ai bordi di un bosco attraversato d un piccolo ruscello affluente del Tevere. Prima di mangiare andammo a vedere le rane (per la prima volta) e misi i piedi nell’acqua gelida del fiumiciattolo. Inutile tediarvi con l’inventario delle emozioni, lascio alla vostra immaginazione. Nel Motel Sassacci, luogo di ritrovo di camionisti, mi sentivo un al pari di quegli omoni, con pance sgraziate, mani come pale da escavatore e sigarette fisse tra le labbra. Mentre mio padre si era limitato ad una bistecca con insalata, io procedevo come un altoforno a mangiare tutto quello che arrivava a tavola. Per la prima volta mio padre mi fece bere un po’ di vino (in famiglia era tabù qualsiasi alcolico). Pronti a ripartire. Dopo pochi chilometri da Sassacci eravamo già in autostrada. Dopo aver rivisto il cartello autostradale che indicava Roma, mi addormentai….e mi risvegliai a casa!

Bellissimo ricordo di una giornata di lavoro con mio padre.

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