Ford Transit: il ricordo di tante vite fa

Nel 1970 abitavo a Palese, in IV traversa di via Macchie, alle spalle della chiesetta. Ci trasferimmo lì per un anno a causa di problemi con il lavoro di mio padre e mia madre. La casa era piccola, due stanze, cucinino e bagno, ma essendo in aperta campagna offriva moltissime possibilità di svago a me e mio fratello. Imparammo a distinguere un’ape da una vespa, imparammo a catturare le lucertole, a cacciare i cani randagi, a salire sugli alberi, a mangiare la frutta appena raccolta. Una scuola a cielo aperto, anche la scuola che frequentavo era “aperta”. Grazie al maestro Antonio Conese imparai la radice quadrata, la percentuale, la numerazione e le operazioni con sistemi binari, i diagrammi, l’analisi logica…. tutto questo in quarta elementare nel 1970.

All’epoca avevamo un furgone Ford Transit, giallo ocra, che rappresentava un elemento della famiglia. Era un “nonno” che ci accompagnava dappertutto: lavoro, scuola, mare, montagna. Per qualsiasi spostamento si usava il “nonno”. D’estate la famiglia partiva per le vacanze di una settimana sul Gargano. Si puliva il furgone, di mettevano materassi e vettovaglie e diventava il villino al mare per l’estate. Parcheggiavamo direttamente sulla spiaggia e il primo bagno si faceva alle sette del mattino. Naturalmente Vieste non era come la vedete adesso, noi eravamo gli unici che si permettevano questo lusso su una spiaggia di sabbia praticamente deserta. Aperitivo con le vongole crude che io e mio fratello raccoglievamo in quantità industriali e pranzo con focacce o panini.

Aver rivisto un Ford Transit, ormai solo lo scheletro, in uno “sfascia carrozze” mi ha fatto tornare in mente una delle emozioni più belle che ricordo.

Era appena iniziata la scuola e mio padre si sarebbe dovuto recare a Civitacastellana, in provincia di Viterbo, per caricare merce. C’era sempre stato questo mistero di Civitacastellana, che io e mio fratello cercavamo di indagare. Ma si restava sempre nelle supposizioni: fabbriche infinite, autostrade lunghissime, boschi, fiumi. La sera cenammo normalmente e andammo subito a letto (non avevamo il televisore, solo la radio AM). La notte mi sentii svegliare da mio padre:”Agostì, vuoi venire a Civitacastellana con me?”. Non credo di essere tanto bravo a spiegare cosa mi accadde e quale reazione ebbe il mio corpo. Posso soltanto dire che dopo cinque minuti ero lavato e vestito, pronto alla partenza, mentre mio padre finiva di allacciarsi le scarpe. Erano le tre e mezza di notte e il cielo senza luna era pieno di stelle incredibilmente luminose, sembravano le luci di Natale del Presepe. Avevo da poco compiuto i nove anni, ma quella notte mi sentivo un Lothar (assistente di Mandrake, per chi se li ricorda) alla conquista del mondo. Il furgone era freddo e le bocchette dell’aria calda a malapena riuscivano a scaldarmi le gambe, ma il pensiero di fare il viaggio con mio padre non mi faceva più sentire nulla. Guardavo il cielo, la strada, gli animali della notte nelle campagne, il contachilometri, il tachigrafo, la gestualità di mio padre alla guida, sentivo i rumori del motore, il cervello elaborava centinaia di informazioni al secondo e fotografavo con gli occhi ogni cosa che vedevo. Dopo aver superato il bivio di Cerignola, in autostrada, iniziò il gioco delle gallerie e dei viadotti: dovevamo contarle e vedere quali erano più lunghe o più pericolose. Al ritorno avremmo dovuto ricordare tutti i nomi delle gallerie e dei viadotti. Poco prima dell’alba si vedevano i primi cartelli che indicavano Roma ed io mi addormentai sul sedile, col viso appoggiato al vetro. Al mio risveglio mi ritrovai davanti un fienile gigantesco ed una distesa di terra bruna, molto diversa da quella pugliese. Nel furgone erano al lavoro gli operai della fabbrica che stavano sistemando le porcellane, sovrapposte e protette con paglia di fieno. Quell’odore intenso di paglia ci avrebbe accompagnato fino a Bari. Secondo la leggenda metropolitana quell’intenso odore di paglia salvaguardava le vie respiratorie, ma io e mio padre viaggiavamo a finestrini aperti, visto che l’ottobrata romana aveva temperature quasi estive. A mezzogiorno ci fermammo al mitico Motel Sassacci, vicino Magliano Sabina, ai bordi di un bosco attraversato d un piccolo ruscello affluente del Tevere. Prima di mangiare andammo a vedere le rane (per la prima volta) e misi i piedi nell’acqua gelida del fiumiciattolo. Inutile tediarvi con l’inventario delle emozioni, lascio alla vostra immaginazione. Nel Motel Sassacci, luogo di ritrovo di camionisti, mi sentivo un al pari di quegli omoni, con pance sgraziate, mani come pale da escavatore e sigarette fisse tra le labbra. Mentre mio padre si era limitato ad una bistecca con insalata, io procedevo come un altoforno a mangiare tutto quello che arrivava a tavola. Per la prima volta mio padre mi fece bere un po’ di vino (in famiglia era tabù qualsiasi alcolico). Pronti a ripartire. Dopo pochi chilometri da Sassacci eravamo già in autostrada. Dopo aver rivisto il cartello autostradale che indicava Roma, mi addormentai….e mi risvegliai a casa!

Bellissimo ricordo di una giornata di lavoro con mio padre.

Un’estate, una vita

Nell’agosto del 1973 i miei genitori affittarono una casetta a Marina di Vasto, dove avremmo trascorso il mese di agosto. Una casetta a piano terra, molto vecchia, con muri fatti di tufo scrostati e mattoni forati sottili. Eppure agli occhi di noi bambini era una reggia. Io avevo dieci anni e mi aspettava la scuola media, mentre Flavio avrebbe frequentato la sua seconda elementare. Una esperienza esaltante che ricordo ancora. Ma più di tutto ricordo l’ultimo giorno trascorso in quel luogo. Proprio descrivendo quel giorno riesco a rivedere tutto quello che è successo alla famiglia Abbaticchio a partire dal 1° dicembre 2009 e fino all’ultimo giorno di vita di Flavio, 8 febbraio 2016.

La sera arrivò all’improvviso.

Una vacanza che sembrava non dovesse mai finire, una spiaggia per noi immensa, sabbia dorata e mare azzurro. Era tutto bello, anche la notte, la pioggia, la sete, il sudore. Ma quel giorno era diverso: dopo un mese di vacanza era difficile dire addio a tutto quello. Ci sentivamo parte di quella natura, eravamo ormai un unico corpo che congiungeva sole, aria, mare, brezza, odori, caldo, sorrisi, sudore, lacrime, emozioni, abbracci, urla, rabbia giochi, sabbia, alberi, pesci, fame: eravamo i bambini più felici del mondo, anzi noi eravamo il mondo stesso. Non avevamo paura di niente e di nessuno. Avevamo vissuto quei giorni con tanta intensità che ormai avevamo modificato la nostra essenza umana. Non usavamo il telefono, non esisteva l’orologio, non avevamo pettini e profumi, non usavamo posate e bicchieri. L’unica cosa che indossavamo era un costume da bagno, una maglietta e le ciabatte da mare. Non avevamo bisogno di altro.
Quel giorno, però, fu diverso.
La mattina ci svegliammo presto, quando iniziammo a sentire il calore dei raggi del sole che entravano nella stanza. Ero sveglio, ma avevo gli occhi chiusi, fuori si sentiva solo il mare e i gabbiani litigare. Mio fratello Flavio venne a svegliarmi con il suo bellissimo sorriso, le braccia nere e le manine paffute. “Oggi facciamo il più bel castello di sabbia del mondo” e i suoi occhi brillarono come l’acqua di un ruscello di montagna. Non ricordo se abbiamo mangiato qualcosa, forse abbiamo preso della frutta e siamo scappati sulla spiaggia. Tra la casa e la sabbia c’era solo una stradina polverosa, un flebile limite tra la realtà e il sogno. La notte prima c’era stato un po’ di vento e la sabbia aveva coperto la stradina. Sembrava che la spiaggia fosse arrivata dentro casa nostra.  Sembrava cancellato il limite tra il sogno e la realtà. Ci ritrovammo a correre sulla sabbia fresca del mattino, verso il mare. Il primo bagno nel mare annullava tutti i residui contatti con la realtà. Il nostro corpo sembrava depurato di ogni essenza materiale ed eravamo pronti alla nostra trasformazione in elementi della natura. Il contatto con l’acqua del mare, la nostra pelle piena di salsedine e sabbia, eravamo diventati parte del paesaggio, fusi e confusi con quella natura. Appena fuori dal mare io e mio fratello ci tuffammo nella sabbia, così nessuno era più in grado di riconoscerci nemmeno la mamma. Già, la mamma. Quell’essere angelico, evanescente, onnipresente, quel nome invocato nei momenti più belli come quelli più brutti. La mamma come il primo contatto con il mondo nel momento del concepimento e l’ultimo ricordo prima di chiudere gli occhi per l’eternità. Anche lei era con noi e pazientemente ci era sempre accanto anche se non faceva pesare la sua presenza. Durante le vacanze non c’erano rimproveri, non esistevano limiti, non venivano imposti doveri, si era liberi davvero, anche se in tutta questa libertà non si andava mai oltre, non si sbagliava mai. Potevamo scalare gli alberi, ma non lo facevamo, potevamo prenderci a pugni, ma non lo facevamo, potevamo stare svegli fino a tardi, ma non lo facevamo, potevamo rifiutarci di mangiare, ma non lo facevamo. Eravamo ormai animali selvatici allo stato brado, ma perfettamente in sintonia con il nostro istinto naturale. C’era un meccanismo di perfetto accordo tra noi, la mamma e tutto il mondo che ci circondava. Tutta quella sintonia permeava e si fondeva con tutto quello che vedevamo e sentivamo. Flavio iniziò subito a scavare: bisognava fare il fossato del castello. Andò a prendere un grosso ramo secco, portato a riva dal mare, che era incastrato sotto i pilastri del vecchio pontile di Vasto Marina. A quell’ora la spiaggia era deserta, non c’erano ombrelloni, niente barche in mare e nessuna nuvola in cielo: solo sabbia fresca e sole forte. Trascinandosi dietro il grosso ramo Flavio iniziò a segnare il tracciato del fossato del castello. Un enorme fossato che per girarci intorno si doveva correre. Lui continuava a tirarsi il ramo e poco alla volta scavava il solco del fossato. Nel frattempo io iniziavo a spalmare la sabbia al centro per creare un unico piano di costruzione, senza buche o dossi. Agli occhi di un estraneo saremo sembrati sicuramente due squilibrati sotto l’effetto di qualche eccitante molto forte. Per mitigare il caldo infuocato della giornata facevamo regolari “calate” in mare, che ci aiutavano anche a ripulirci della sabbia sulla pelle, tra i capelli e talvolta anche in bocca.
Due ore di intenso lavoro per ritagliarci quel pezzo di spiaggia che sarebbe stata la nostra opera più grande e bella. A questo punto arrivò mamma, con una bottiglia di acqua fresca e due pezzi di focaccia. Durante la nostra pausa lei si era seduta sulla sabbia e guardava il mare e pensava a mio padre. Lui non c’era perchè era tornato a casa a lasciare l’auto e prendere il furgone per il trasloco. Sarebbe arrivato per il pranzo.
Noi avevamo finito la nostra focaccia con i piedi sul bagnasciuga, guardando le onde e ridendo. Sono sicuro che anche Flavio, come me, non sentiva la fame, ma mangiavamo solo perchè mamma aveva pensato a noi e per non tradire la sua preoccupazione gli dimostravamo la nostra riconoscenza mangiando quella focaccia.
Ben presto ritornammo al lavoro. Non avevamo rastrelli, palette, carriole, secchielli. Avevamo solo le nostre mani e il nostro cuore. Iniziò l’andirivieni dal mare al castello con le mani piene di sabbia bagnata. Facevamo colare la sabbia creando un effetto particolare e bellissimo. Poco alla volta si andava formando il nostro castello. Le mura, le torri, l’accampamento, la piazza d’armi, tutto era un incredibile ricamo fatto di gocce di sabbia accavallate. Ogni tanto crollava qualche parte e subito si ricominciava a ricostruire. Solo adesso posso dire che assomigliava tantissimo alla Sagrada Familia di Barcellona. Forse, ignari di questa somiglianza, avevamo colto lo spirito del mar Mediterraneo che aveva ispirato anche Gaudì quando aveva disegnato la sua Cattedrale. Ne io e nemmeno Flavio ci rendevamo conto del sole e dei suoi raggi. Ormai eravamo diventati nerissimi in quell’agosto trascorso a Marina di Vasto. In più ci aveva aiutato l’alimentazione locale fatta di verdure, frutta e ortaggi buonissimi e ricchissimi di vitamine e fibre. Non avevamo bisogno di nessun integratore e non ci eravamo presi nessun malanno, nemmeno quando dormivamo sul pavimento, tanto era il caldo. Il castello ai nostri occhi era bellissimo, grandissimo, e continuavamo a ricostruire tutti i punti dove la sabbia, seccando, crollava. Un lavoro immane per due bambini felici di essere al mondo. Verso mezzogiorno iniziammo a sentire la stanchezza e avevamo deciso di dividerci i compiti: lui portava altra sabbia bagnata per costruire, invece a me era stato assegnato il compito di continuare a scavare il fossato per riportarlo al livello del mare. La responsabilità di tutta l’opera era forse mia, perchè una volta aperto il fossato con il mare, l’acqua non avrebbe dovuto far crollare le pareti del castello.
Verso l’una sentimmo il classico fischio di mio padre che ormai era arrivato. Senza nemmeno aspettare la fine del fischio stavamo già correndo verso casa per andarlo ad abbracciare.  Naturalmente la precedenza spettava a Flavio, essendo più piccolo, mi dispiaceva se restava  indietro.

Prima di sederci a tavola passammo dal bagno per una doccia veloce. L’acqua sulla nostra pelle aumentò l’effetto abbronzatura ed eravamo a tavola bagnati come due pulcini. Per l’occasione mamma aveva preparato spaghetti al pomodoro fresco, come solo lei sapeva farli. Flavio evitò di usare la forchetta e preferì succhiarseli uno alla volta, mentre io decisi di riprendere l’uso delle posate, perchè sentivo che tra qualche ora saremmo tornati nel mondo reale e non volevo che il colpo fosse scioccante.
Giusto il tempo di bere un po’ d’acqua fresca, baciato papà eravamo di nuovo sulla spiaggia. Bisognava fare presto, il tempo era pochissimo e il castello andava finito. Aumentammo i ritmi di lavoro anche perchè gli spaghetti avevano dato la giusta carica. In lontananza vedevamo mamma e papà che iniziavano a sistemare le nostre cose da riportare a casa nel furgone, il mitico Ford Transit giallo con ruote gemellari, anche se in realtà era ocra. Mia madre, reduce da tanti anni in Argentina, dalla migrazione tra dialetto bitontino, argentino, castellano e italiano, ormai lo chiamava “furgoll” e talvolta anche noi lo chiamavamo così.
Non era un semplice mezzo di trasporto, ma una seconda casa. Quando si usciva per motivi di lavoro, mio padre aveva l’abitudine di portarci tutti con lui. Allora Flavio trovava posto sulle gambe di mia madre, dove riusciva anche a dormire tranquillamente, io nel sedile centrale e mio padre alla guida. Davanti ai piedi di mia madre trovavano posto bottiglie d’acqua e contenitori di cibo per far fronte a qualsiasi impellenza alimentare.
Nel frattempo il castello iniziava a realizzarsi e noi eravamo fieri del nostro lavoro e del nostro sudore. Ad un certo punto sentimmo arrivare mia madre con la sua borsa ripiena di indumenti per la nostra “cambiata”. Ormai sembrava che il sole stesse tramontando.
Flavio decise il colpo definitivo: aprì il diaframma che divideva il fossato dal mare e lasciò entrare le prime onde nel fossato. Uno spettacolo unico nei nostri occhi lucidi di emozione.
Mia madre ci disse di andarci a lavare nel mare (non esistevano docce sulla spiaggia). Eseguimmo alla lettera e ci divertimmo per gli ultimi dieci minuti di quella fantastica estate a toglierci la sabbia di dosso immergendoci in quel mare.
Mentre eravamo intenti a ripulirci della sabbia, vedemmo arrivare un gruppo di ragazzotti, forse avevano vent’anni o giù di lì, che correvano sul bagnasciuga. Correvano e scherzavano, ridendo e gridando forte, si schizzavano e si lanciavano acqua e sabbia scalciando nell’acqua.
Quando arrivarono nei pressi del nostro castello non trovarono niente di meglio che passarci sopra, distruggendo tutto il nostro lavoro. Dopo il primo momento di sconcerto guardai Flavio per trovare la forza di reagire. Flavio guardava tutto perfettamente immobile, senza parlare, senza muovere un capello. Aveva solo il viso rabbuiato e gli occhi intrisi di rabbia mista a dolore.
Avevano distrutto tutto e continuavano a scappare sul bagnasciuga ridendo, scherzando e lanciandosi acqua e sabbia mentre scalciavano tra le onde.
Non so bene quanto tempo sia passato prima di uscire dal mare, so soltanto che uscimmo molto lentamente. I miei occhi erano pieni di lacrime, Flavio invece era impassibile e la cosa mi faceva stare ancor più male.
Flavio continuò a camminare verso mia madre senza tradire alcunchè, lasciò che mia madre gli togliesse il costume da bagno per mettergli le mutandine mentre lo asciugava con un grande telo. Mentre io ero vicino al fossato a guardare come il mare continuava ad erodere le mura del nostro castello, facendo crollare quel poco che era rimasto in piedi. Flavio, una volta rivestito, non si girò indietro e proseguì verso mio padre che ci aspettava nel furgone.
Quando finii di vestirmi, con mia madre ci avviammo anche noi verso il furgone.
Appena a bordo, mio padre consigliò a mia madre di controllare la temperatura della fronte di Flavio. Infatti scottava e pure parecchio, si vedeva che stava tremando, ma non si lamentava.
Io e Flavio non avevamo il coraggio di incrociare gli sguardi e ognuno di noi guardava in altre direzione per non guardarci negli occhi. Sono sicuro che se ci fossimo guardati avremmo iniziato a piangere. Non avevamo avuto nemmeno il piacere di mostrarlo a papà, magari lui ci avrebbe messo il suo tocco finale. Invece tutto era andato distrutto. Mamma mi disse di non disperarmi se avevano distrutto il castello. Non avremmo potuto portarlo via, non potevamo fotografarlo, non sarebbe durato molto perché sarebbe stato mangiato dalle onde del mare. Era solo un gioco e come tale doveva rimanere. Un gioco è bello fino a quando dura poco.
Intanto Flavio continuava a peggiorare, dopo una mezz’ora di cammino in autostrada fummo costretti a fermarci perchè stava rimettendo tutto quello che aveva mangiato. Sicuramente si trattava di una piccola insolazione e mia madre si limitava a mettere fazzoletti bagnati sulla sua testa bollente. Ben poca cosa per il suo stato, ma non avevamo altro che potevamo fare. Ormai era cotto dalla febbre e aveva occhi socchiusi e fiato ansimante. Io avevo i suoi piedini sulle mie gambe, mentre mia madre se lo abbracciava. Li sentivo caldi e cercavo di accarezzarli per dargli sollievo. Non ricordo più nulla. Mi addormentai profondamente per la stanchezza della giornata. Quando mi risvegliai, mi ritrovai sul mio letto a casa con mio padre mi diceva di non muovermi, perchè avrebbero dovuto portare Flavio dal medico per farsi prescrivere le medicine.
Rimasi così solo a guardare il soffitto e a pensare a tutta la giornata trascorsa e ogni tanto guardavo nel letto accanto al mio per vedere se ricompariva Flavio. Avevo bisogno di parlargli, di dirgli tante cose, volevo sentire la sua voce, guardargli negli occhi, ma il sonno rinchiuse il mondo su di me.
Una magnifica estate, una magnifica giornata, un magnifico castello.

Indipendenze e dipendenze

Forse vi sarete accorti che in questi tempi si fa un gran parlare di indipendenza. C’è chi la reclama come regione, chi come moglie o marito, chi come figlio, chi come condomino. Tutte le versioni possibili e immaginabili.
Sembra che la soluzione di ogni dramma (e voglio essere buono) sia quello di creare una indipendenza da qualcosa o da qualcuno. Questo mi ricorda molto un mio dramma personale, quando pensavo che un matrimonio avrebbe risolto i miei problemi, quando invece andai a sommare i miei problemi a quelli della mia (allora) consorte. Eppure tutti mi avevano assicurato che la condivisione avrebbe alleggerito il carico, mentre nella realtà non era così.
Dopo questa minuscola quanto inutile disgressione sui fatti miei torniamo sul tema principale: l’indipendenza.
A mio avviso, prima di poter chiedere l’indipendenza occorrerebbe riconoscere quali sono le “dipendenze”, cioè tutte quelle attività, funzioni, elementi necessari alla sopravvivenza, dopo l’avvenuto distacco ombelicale.
Il primo punto è l’energia. Parlo in generale senza puntualizzare circa le fonti: fossili, solari, eoliche, geotermiche, ecc. Senza l’energia dubito fortemente che una qualsiasi forma vivente possa chiedere l’indipendenza (vi ricordo che sto parlando in generale, senza voler trascendere negli argomenti politici). Se una regione o una persona, o gruppo di persone, desidera rendersi indipendente dovrebbe innanzitutto considerare come approvvigionarsi di energia. Senza questo elemento vitale penso che l’indipendenza sarebbe solo fittizia, in quanto basterebbe che qualcuno tagli le risorse e si diventerebbe più schiavi di prima.
Passo velocemente al secondo punto: le comunicazioni. Al giorno d’oggi è diventata essenziale la conoscenza e con essa la comunicazione. Pensate a cosa accadrebbe ad una comunità (o individuo) non in grado di comunicare con altri. Sarebbe praticamente destinato ad estinguersi. Giusto per esempio voglio ricordarvi cosa è accaduto sulle isole di Pasqua, dove la popolazione è stata impossibilitata a navigare (non c’erano più alberi per costruire piroghe) e non potendo “comunicare” con le isole circostanti furono destinati all’estinzione. Noi non usiamo piroghe, ma cellulari che ogni giorno trasmettono ordini, immagini, comunicazioni, GPS, ecc. Certo che basterebbe una normale linea telefonica analogica per parlare con l’altra parte del mondo. Ma i nostri viziatelli non riescono nemmeno più ad andare al cesso senza il telefonino al seguito (anzi sembrerebbe che sia la condizione più ambita dalla popolazione lobotomizzata). Nella nostra scala di valori di dipendenza possiamo considerare la comunicazione direttamente dipendente dall’energia.
Benissimo: abbiamo luce e telefono….ci manca l’acqua.
In questo caso si parla di sovranità idrica (anche le altre due dipendenze sono delle sovranità, che dovrebbero essere gestite dal popolo o dai suoi rappresentanti legalmente eletti). Se un individuo ha la possibilità di approvvigionarsi di acqua senza dover pagare balzello, in maniera automatica, ha raggiunto anche la sovranità alimentare. Può coltivare e produrre alimenti in maniera autonoma, addomesticando il territorio alle sue necessità. Bello vero? Ogni mattina una persona si sveglia, va nella campagna e si approvvigiona di acqua e di alimenti, di cosa altro potrebbe avere bisogno? La moneta, certo! La moneta intesa come strumento di misura dell’impegno profuso da parte di ognuno di noi nella realizzazione di un lavoro fisico e/o mentale. Parliamo di strumento di misura e non di un valore. Il valore, invece, viene assegnato dalle banche (private) emissarie di moneta che prestano agli gnocchi e si fanno pagare interessi attraverso il debito pubblico.
Se una persona, un gruppo di persone, una regione detiene il controllo del proprio denaro ha praticamente tutto.  E non fatemi la solita predicozza degli studi di economia e finanza che dicono che le banche sono necessarie, altrimenti oltre a sfasciarvi quel maledetto cervello bacato e lobotomizzato, rischiate di provare l’ira del sottoscritto anche in regioni pubiche anteriori e posteriori.
Potrei considerare una moneta aurea o semplicemente una moneta cartacea emessa direttamente dallo Stato per bilanciare le attività.
Possiamo dire di avere tutto: energia, acqua, alimenti (anche sanità, visto che una alimentazione sana allontana le case farmaceutiche), moneta.
Gli ultimi due elementi che caratterizzano degnamente una indipendenza sono la territorialità, cioè il suolo o la zona dove una persona può fare quello che vuole senza che nessuno possa dare fastidio (immaginate la vostra sala da bagno!!!) e, last but not the least (dulcis in fundo), parliamo  di etica o coscienza o educazione o come preferite chiamarla voi. Quel rispetto, quella condizione di vivibilità, di partecipazione, di empatia che lega una persona ad un’altra. Questo ultimo elemento in ordine temporale dovrebbe precedere tutti gli altri, altrimenti il processo di indipendenza è nullo.
Vi immaginate un gruppo di persone che richiede l’indipendenza, in cui ognuno si fa i cazzi propri? Ognuno pensa al suo orticello? Ognuno pensa ai suoi interessi? Ognuno vuole il suo pezzo di storia da gestire?
Ebbene è questo che accade ancora oggi in tutti i gruppi meridionalisti: ognuno pensa ai cazzi propri e nessuno, dico nessuno, ha ancora pensato ad unire il tutto. Chi predilige il Re, chi la Chiesa, chi l’Anarchia, chi la Federazione, chi vorrebbe andarsene con gli spagnoli, chi con i catalani, chi con i russi, chi con i massoni (quelli buoni!!! Sic!!). Nessuno ha ancora deciso di aderire ad un altro gruppo fondendo il tutto. Anzi, ogni giorno che passa ognuno pensa a fottere il suo simile: ti rubo l’idea, ti rubo l’evento, ti rubo l’idea del libro, ti rubo la visibilità. Con queste cazzate il meridionalismo non va da nessuna parte.
Avremmo bisogno, prima di tutto, di creare una figura di Stato innovativa attingendo alle varie correnti filosofiche recenti o antiche. Marx, Hegel, Montesquieu, e tanti altri hanno elaborato filosofie economiche e politiche di quanto si usavano i cavalli e i piccioni viaggiatori. Qualcosa è cambiato nel mondo e, mentre i governanti mondiali utilizzano tecnologie e accordi di cui minimamente abbiamo idea, il popolino resta a guardare la televisione e farsi seghe mentali. Abbiamo la necessità di una nuova forma di governo che privilegi l’umanità e non la maggioranza, il sapere e non le leggi.
Siamo vittime di aberrazioni inumane da parte di uno Stato ormai succube della finanza mondiale. Manovrano le nostre emozioni, le nostre paure, le nostre ambizioni condizionando il nostro futuro.
Abbiate la forza, il coraggio, la lealtà di fare un passo indietro e cercare una soluzione comune che guardi l’economia nel giusto verso (oikos= casa + nomos= legge: cioè la salvaguardia del territorio) e su questa far nascere un nuovo credo a cui aderire senza stare a discutere. Dobbiamo farlo per i nostri figli e dobbiamo farlo subito. Secondo molti studiosi la razza umana si estinguerà nei prossimi cento o duecento anni…forse ci è rimasta una speranza.
Buona vita a tutti

Il Nobel per l’economia Stiglitz canta il De Profundis all’euro

E’ stato passato sotto silenzio (come al solito) dai grandi giornali italiani il testo di una intervista, rilasciata da premio nobel Joseph Stiglitz al giornale tedesco Die Welt, in cui l’esperto economista ha testualmente dichiarato: “Esisterà una zona Euro nell’arco di 10 anni ma è poco probabile che possa contare ancora di 19 membri e risulta difficile prevedere chi vi rimarrà”, nella stessa intervista Stiglitz ha imputato a questa moneta ed alla Germania la responsabilità del ristagno dell’economia del vecchio continente.

Stiglitz ha segnalato in particolare che in Italia “la gente si trova sempre più delusa dall’euro” e che “gli italiani si sono rendono ormai conto” che il loro paese non funziona con questa valuta.


“Potrà esistere  fra dieci anni una zona euro me è poco probabile che potrà contare con 19 membri, per quanto risulta difficile prevedere chi vi permarrà “, ha detto Stiglitz , premio Nobel per l’economia nel 2001.

L’economista assicura che la Germania  ha già accettato l’idea che la Grecia rinunci a rimanere nella zona euro e consiglia il paese ellenico ed il Portogallo di abbandonare quanto prima l’area euro e ritornare alle proprie monete.
Stiglitz, che è stato il principale economista della Banca Mondiale, ha duramente criticato la politica di austerità imposta dalla Germania e la mancanza di solidarietà europea nel momento di risolvere i problemi economici comuni.
Così che Stiglitz nella stessa intervista considera che la migliore soluzione per dare impulso all’economia dell’Unione Europea sarebbe quella di dividere l’euro in due monete diverse: una destinata ai paesi del nord Europa e l’altra per quelli del sud Europa.

Lo stesso Stiglitz, poco tempo prima in altra intervista al “Nouvelle Observateur”, aveva dichiarato di condannare le politiche europee di austerità (comprese quelle di Hollande), la flessibilità senza protezioni nel mercato del lavoro, e aveva sostenuto che uscire dall’euro è meglio che seguire politiche suicide.
Ad una domanda dell’intervistatore: ” Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa della crisi europea e delle misure di rigore e di austerità che i leader della zona euro  fanno passare come le sole e uniche soluzioni per superare questa crisi”;

Joseph Stiglitz aveva risposto : “L’austerità non è la soluzione. Non permette ai governi di aiutare le imprese a passare dalla vecchia alla nuova economia. Al contrario, essa limita le possibilità di sostegno.

Ora l’economia in Occidente sta passando dall’industria ai servizi: l’istruzione, la sanità, la cultura, il turismo, ecc. La cosa interessante è che tra questi settori, molti sono pubblici. Questo è il motivo per cui avremo sempre più bisogno dei nostri governi, ancora più che per l’industria, che già richiedeva l’intervento dello Stato. Il settore pubblico non deve solo dirottare il suo sostegno verso i nuovi settori, ma deve anche rafforzarlo.

Ad esempio, negli Stati Uniti, spendiamo troppi soldi per la difesa. Produciamo molte armi che non servono a combattere contro tutti questi nemici che non esistono. E’ spreco di denaro. Si finanziano anche molto le imprese, invece che i dipendenti. Sono degli esempi. È possibile riorientare la spesa verso quello che serve a rafforzare l’economia del futuro.

Intervistatore: “In Francia, la crescita ha subito un rallentamento, ma François Hollande ha annunciato tagli alla spesa e aumenti delle tasse che peseranno sulla crescita, per raggiungere gli obiettivi europei. Secondo lei ci sta portando nel precipizio”?

Joseph Stiglitz: “Limitare il disavanzo strutturale, come previsto dai trattati europei, funziona quando si è in piena occupazione, ma non quando si è in una fase di recessione. E’ irresponsabile cercare di avere un bilancio in pareggio o addirittura un disavanzo strutturale al 3% in una economia debole.
Penso che la decisione di François Hollande avrà conseguenze molto negative. L’austerità conduce alla recessione. L’austerità in Spagna ha portato alla depressione.

I leader europei tuttavia continuano a dire che la crescita è necessaria. E’ quello che continuano a ripetere da anni, ma non hanno proposto nulla di concreto in questa direzione. Ci sono stati alcuni progressi, ma arrivano molto lentamente e non saranno sufficienti.
Ad esempio, avete rafforzato la Banca europea per gli investimenti per consentirle di fare più investimenti. Ma la misura di ciò che viene proposto è troppo scarsa. Non sarà sufficiente a compensare i danni dell’austerità.”

Intervistatore: “Non c’è un altro modo per rilanciare l’economia? Se è così, perché i capi di Stato europei insistono in questa direzione”?

Joseph Stiglitz: “Il grande errore degli europei, e della Germania in primo luogo, è che fanno unadiagnosi sbagliata del problema. Essi credono che la crisi derivi da un atteggiamento troppo spendaccione. Ma l’Irlanda e la Spagna prima della crisi erano in surplus . Non sono state le spese a mandarle a fondo.
E’ la crisi economica che ha causato il deficit, non il deficit che ha causato il rallentamento. Introdurre una maggiore austerità non farà che esacerbare la crisi. Ma i leader europei non lo capiscono”.
Alla fine l’intervistatore chiede cosa bisogna fare e quali siano le soluzioni.

Joseph Stiglitz:” L’area dell’euro soffre principalmente di un problema di regole, e i dirigenti non se ne occupano. Devono farlo. Essi devono:

mettere in comune i debiti;

implementare un sistema finanziario comune;

armonizzare le imposte;

modificare il mandato della Banca Centrale Europea, che si concentri non solo sull’inflazione, ma anche sull’occupazione, la crescita e la stabilità finanziaria.

Sono riforme da pianificare ed eseguire molto rapidamente, perché l’Europa è in declino e tutto ciò è costoso in termini di disuguaglianze e di erosione del capitale umano. I giovani devono cercare di costruire le proprie abilità ma passano il loro tempo come disoccupati, cadendo nella disillusione e nell’isolamento.

Intervistatore: “Qualcuno ha detto che la cosa migliore per l’Europa è rifondarsi senza la Germania (parafrasando un po’). Lei è d’accordo con questa diagnosi”?
Joseph Stiglitz: “Credo che abbia ragione quando dice che la Germania deve gestire, prendere in mano l’eurozona”, oppure uscirne.

L’economista  sottolinea che, se la Germania lasciasse l’eurozona, questa si troverebbe probabilmente in condizioni migliori. Perché l’euro sarebbe meno apprezzato. “Diventereste più competitivi, aumentereste le esportazioni, e sarebbe un bene per la vostra economia”.

Intervistatore: “Cosa ne pensa dell’idea proposta da alcuni economisti (non necessariamente vicino al FN) di uscire dall’euro per uscire dalla crisi”?

Joseph Stiglitz: “Ci sono vantaggi e svantaggi ad avere un grande mercato come l’Europa. Ma se non lo si può riformare, io non credo che sia poi così male tornare alle vostre vecchie monete.

Le unioni monetarie spesso durano soltanto un breve periodo di tempo. Ci proviamo, e o funziona o non funziona. Il regime di Bretton Woods è durato trent’anni. L’Irlanda ha ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito e ha creato una propria moneta. Quando succede è un grande evento, ma succede. Ed è possibile.

L’idea che sarebbe la fine del mondo è sbagliata. Sarebbe un periodo molto difficile, ma la fine dell’euro non sarebbe la fine del mondo”.

Guardate la Spagna: il paese è in depressione, la metà dei giovani sono disoccupati. E cosa offre l’Europa? Aiuto, ma a certe condizioni. E queste condizioni sono basate proprio sugli stessi principi che hanno portato la Spagna alla depressione. Questa è la cura che uccide il paziente! Dire “Vi aiuterò, ma prima dovete suicidarvi”, non dà molte speranze.

Intervistatore: “Delle forme di protezionismo, per esempio in materia di criteri sociali e ambientali, non potrebbero stabilizzare l’economia globale e incoraggiare i paesi che praticano il dumping sociale e ambientale come principale strategia economica a convergere verso dei modelli più rispettosi della natura e degli uomini”?
Joseph Stiglitz:” Imporre il protezionismo sarebbe un errore, perché si importa e si esporta. Se non importate più, gli altri paesi non compreranno le vostre merci. Quindi questa non è la direzione giusta da seguire.

Se si ha un tasso di cambio flessibile, invece che una moneta comune, è possibile regolare il cambio per rendere i propri prodotti più competitivi. E’ qui che l’euro ha posto un vincolo, come il gold standard durante la Grande Depressione. La domanda rimane la stessa: è possibile risolvere i problemi posti dall’euro? La risposta è sì, se si riformano le regole dell’euro.

Quello che serve è riuscire a spostare le persone dai settori meno competitivi ai settori più competitivi. Si tratta di sostenere l’occupazione, di garantire che le banche offrano finanziamenti per aiutare le persone a cambiare lavoro o a creare nuove imprese, di investire nelle università per avere più ricercatori, che lavoreranno nelle imprese più competitive”.

Intervistatore: “Mentre molte persone si rammaricano per la deindustrializzazione, non è che alla fine l’industria è destinata a scomparire dai paesi più ricchi, come è quasi scomparsa l’agricoltura o alcune industrie come quelle estrattive”?

Joseph Stiglitz: “In Francia, potete riuscire a riportare dei lavori che sono stati esternalizzati. Ma soprattutto occorre ricordarsi che la crescita della produttività è tale che, in ogni caso, avrete bisogno di meno lavoratori, delocalizzazione o no. E’ così ovunque. Anche in Cina, l’occupazione manifatturiera è diminuita. Dobbiamo accettarlo, è il prezzo del successo.

Francia, Germania e Italia da quel lato hanno prospettive migliori degli Stati Uniti. Voi disponete di un sistema di istruzione di qualità, una tradizione di piccole e medie imprese specializzate nel campo dell’ingegneria e delle alte tecnologie, che noi non abbiamo.

Gli Stati Uniti si sono specializzati nella produzione su larga scala e a basso costo. E in questo gioco, la Cina ha vinto. E’ difficile per noi competere. Ma per voi, a un livello di alta qualità, è più facile”.

Nota: L’economista ha espresso pochi chiari concetti alcuni dei quali possono essere condivisibili, altri discutibili, ma che sono di sicuro in totale controtendenza rispetto alle presunte soluzioni adottate dall’oligarchia di Bruxelles che, con le sue politiche suicide (dettate dai potentati finanziari)  sta portando l’Europa a sbattere contro un muro, con esclusivo vantaggio di qualcuno (l’elite finanziaria)  e a sicuro disastro di molti paesi fra cui di sicuro l’Italia.

Fonti: Argentina Today       L’Olandese Volante

10 ragioni per il NO

  1. Il Senato non viene abolito: viene eliminato il voto dei cittadini. A eleggere i senatori saranno i consiglieri regionali, nonostante la Costituzione sancisca all’art. 1 che «la sovranità appartiene al popolo».
  2. Il nuovo Senato sarà composto da 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica per 7 anni. Così diventa, in sostanza, un “dopolavoro” per sindaci e consiglieri regionali, gli stessi degli scandali degli anni passati, che godranno di immunità parlamentare.
    Non voglio nemmeno immaginare il banchetto per le mafie.
  3. Il numero di deputati rimarrà di 630, lasciando così una Camera pletorica con le stesse altissime indennità.
  4. Le competenze del Senato resteranno numerose, su diverse materie e molto gravose: come faranno sindaci e consiglieri regionali a coniugare mandato territoriale e mandato senatoriale?
  5. La tanto ventilata semplificazione è in realtà un miraggio: aumenteranno le procedure legislative e la divisione per materie causerà conflitti di attribuzione.
  6. Si crea una sproporzione totale rispetto alla Camera, assolutamente priva di senso: avremo 100 senatori da una parte e 630 deputati dall’altra. I primi eleggeranno due giudici costituzionali, i secondi solo tre, per fare un esempio.
  7. Il Senato non costituirà un contropotere esterno rispetto alla Camera, non avendo particolari poteri di inchiesta e controllo. Non sono previsti neppure contropoteri interni alla Camera.
  8. Grazie all’Italicum, che garantisce 340 seggi alla Camera a prescindere dai voti ottenuti, si andrà verso un “premierato assoluto” dato che solamente la Camera darà la fiducia.
  9. La riforma restringe le possibilità di partecipazione diretta dei cittadini alle scelte politiche.
  10. La riduzione dei costi è minima, nemmeno paragonabile a quanto si otterrebbe dal dimezzamento di deputati e senatori, dato che i nuovi senatori godranno comunque di rimborsi e diarie.

da qui

Una personalissima domanda ai  politici, in particolare piddini, ma non vi fate un po’ schifo quando vi guardate nello specchio la mattina?

Flavio ci ha lasciati

L’otto marzo 2016 io con i miei familiari ed i miei amici abbiamo commemorato il trigesimo della dipartita di mio fratello Flavio. Lo abbiamo fatto nella chiesa di San Leone Magno a Bitonto (Ba). Per l’occasione ho chiesto di poter leggere un mio pensiero sulla morte di Flavio ai miei amici che sono intervenuti alla funzione religiosa.
Quello che ho scritto non l’ho corretto, purtroppo le lacrime e la commozione mi ha portato a molte pause e talvolta a ripetizioni, con alcuni errori di sintassi. Ma ho preferito lasciarlo così com’era: non dovevo fare il compitino di scuola, dovevo solo riportare quello che mi passava per la testa. Per molti saranno incomprensibili alcuni tratti del mio scritto, ma chi conosce la vera storia di Flavio capirà sicuramente quello che ho voluto dire.

Giusto per essere chiari considerate che io e tutta la mia famiglia non abbiamo potuto assistere mio fratello negli ultimi anni della sua vita e ci è stata preclusa anche la possibilità di poter assistere al suo funerale e alle sue esequie. L’ultima volta che ho visto mio fratello è stato prima del Natale 2014. Era su una sedia a rotelle e l’ho lasciato baciandolo sulla fronte.

 
Buona sera e grazie per essere venuti a testimoniare la vostra vicinanza al dolore che ha colpito la famiglia Abbaticchio. Ringrazio anche Padre Guarino per avermi dato la possibilità di riunirci in questo luogo.

Con questa cerimonia suggelliamo il triste evento della dipartita terrena di Flavio.

Il dolore che ha colpito tutti noi, che ha ferito gli animi di noi familiari, ha assunto un valore particolare soprattutto per i nostri genitori. La sera in cui si sono svolti i funerali abbiamo trascorso il momento nella nostra casa paterna a pregare e a ricordare la figura di Flavio. Dopo il momento di sgomento abbiamo realizzato che Flavio aveva raggiunto  la sua vera essenza e questo ci rendeva coscienti e tranquillizzava i nostri animi. Finalmente, dopo che Flavio era stato strappato alla vita prima dagli uomini e poi dalla malattia che lo aveva colpito, ormai era libero. Flavio era tornato ad essere lo spirito libero che era sempre stato, con il suo sorriso, la sua giovialitá, la sua empatia.

Ci sono stati momenti importanti nella vita di Flavio che solo un fratello, una sorella, una madre o un padre possono sapere e capire. La morte terrena di Flavio solo un genitore può capirla, solo un fratello o una sorella può capirla e nessuno può assumersi l’onore o l’ónere di farsi testimone di questo dolore. Nessuno può assumersi l’incarico di sostituirsi ad un familiare. Fino ai miei quindici anni io e Flavio abbiamo dormito nello stesso letto, abbiamo condiviso sonno e sogni. Ogni sera ci siamo sempre raccontati le nostre giornate. La sua vita è stata sempre intrecciata a quella mia e di mia sorella. I nostri pensieri si sono sempre intarsiati tra di loro e non abbiamo mai pensato che un giorno si potesse sgranare tutto questo e sciogliere questo legame. Flavio ci è stato portato via dagli uomini e ci é stato restituito dalla morte. Sembra un ossimoro, ma é così. Coloro che lo hanno portato via da noi lo hanno fatto tutti per lo stesso motivo. Prima la giustizia umana e poi l’ingiustizia sempre umana. Forse vi sembrerà ardito quello che sto per dirvi, ma penso che Flavio, a causa del suo carattere ingenuo, la sua voglia di creare stabilità, armonia, il suo sentimento di pace, si sia lasciato coinvolgere da disegni criminosi che nulla avevano a che fare con lui. Proprio ieri ho avuto notizia che tutto quello che ha causato la rovina della nostra famiglia e, credo, sia stata la causa della morte di Flavio è stato tutto annullato da un colpo di spugna, come se nulla fosse accaduto. La beffa oltre il danno. In questo mondo fatto da una giustizia umana che va contro la giustizia cristiana, Flavio è stato l’agnello sacrificale immolato per salvare l’immagine di una società ormai disgregata. La giustizia umana che ha decretato la condanna di Flavio è un esempio di come questa giustizia sia contro l’essere umano. Cosa predicava Gesù Cristo? cosa predicava San Francesco? Quali sono stati gli esempi di Madre Teresa di Calcutta? Consideriamo invece quali sono i canoni della giustizia italiana? Derivata dalla giustizia romana, quella imperialista, la stessa giustizia che aveva studiato e professato Sant’Agostino prima di abiurarla per abbracciare la cristianità e diventare dottore della Chiesa. Flavio si preoccupava di chi era in difficoltà , era amico di tutti, era giusto con tutti a costo di sembrare duro. Flavio era l’esempio di una cristianità nuova, moderna al passo con i tempi. Proprio per questo è stato spogliato di tutti i suoi averi, di tutti i suoi sogni, é stato strappato ai suoi familiari con il ricatto vergognoso sul suo figlio, infine é stato crocifisso nella sua malattia. Ha pagato ampiamente qualsiasi peccato possa aver commesso, mentre coloro che sono stati la causa del suo peccato adesso si travestono di dolore mentre si giovano del bene che ha creato.

Non fermiamoci alle apparenze, non crediamo alle parole, ma cerchiamo di guardare in fondo al cuore. Nessuno potrà capire il dolore mio, di mia sorella, di mio padre e di mia madre. Nessuno puó arrogarsi il diritto di sostituirsi a noi, perché solo noi sappiamo veramente chi è Flavio. Non permettiamo a nessuno di assumere incarichi non dovuti. Noi siamo i suoi familiari e nessuno potrà cancellare questo legame, nemmeno con inganni e sotterfugi. Adesso tutta la mia famiglia è serena, perché la morte terrena ha liberato finalmente Flavio. Ora la sua anima è libera, proprio come quando era vicino a noi, quando era libero di sorridere, scherzare, aiutare, parlare, confidarsi, condividere. Quando usciremo da questo luogo avremo finalmente Flavio per sempre con noi. La sua presenza finalmente sarà costante e rassicurante.

Basterà guardare il suo sorriso per essere sicuri che lui sarà sempre pronto ad aiutarci e a sostenerci come faceva quando era in vita.

Auguro a tutti di poter riuscire a scoprire tutto quello che è stato, al di là della sua figura esteriore. Quando capirete cosa era Flavio, Flavio diventerà presente in ogni vostra giornata. Avrete la sicurezza che appena girato l’angolo lo ritroverete con il suo solito sorriso e la sua battuta pronta.

Buona serata a tutti e grazie ancora.

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Agostino e Flavio Abbaticchio

I nostri amici di viaggio

La favola della rana e dello scorpione

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Nella favola, lo scorpione chiede a una rana di lasciarlo salire sulla schiena e di trasportarlo sull’altra sponda di un fiume. In un primo momento la rana si rifiuta, temendo di essere punta durante il viaggio; tuttavia, lo scorpione argomenta in modo convincente sull’infondatezza del timore: in un caso del genere, infatti, anche lui cadrebbe nel fiume e, non sapendo nuotare, morirebbe insieme alla rana.
Così la rana accetta e inizia a trasportarlo, ma a metà strada lo scorpione effettivamente punge la rana. Quando la rana sente la puntura, che condanna entrambi alla morte, chiede allo scorpione il perché del suo gesto insano e lo scorpione risponde: “È la mia natura”.

(liberamente tratto da Panchatantra, una raccolta di favole di animali risalenti all’India del III secolo a.C.)

Quando scegliamo gli amici di viaggio

Cosa può determinare la caduta di un leader? Amici di viaggio non adeguati!

Che dire delle persone che hai provato a gestire, ragionando in modo win win, mettendoti in discussione, ma che ancora non cambiano e che ti rendono la vita difficile?

Beh…la cosa funziona così…o tu riesci ad influenzare loro, oppure loro influenzeranno te. Non c’è alternativa. Devi però sapere anche che ci sono delle persone che non cambieranno mai. E se non sei in grado di riconoscerle, renderanno la tua vita miserabile.

Fai bene attenzione perché quanto ti sto per dire è della massima importanza.

LE PERSONE NOCIVE

Le persone nocive agiscono come quei grandi pini sotto i quali qualsiasi pianta ha difficoltà a crescere e, se anche ci riesce, cresce rachitica o con grandi stenti. L’associazione con questo tipo di persone comporta grandi difficoltà e sicuramente una grande quantità di stress. Ogni volta che ti associ a loro tendi a peggiorare. Tutte le volte in cui nella mia vita mi sono associato con persone del genere, dopo un po’ di tempo, inspiegabilmente, le cose iniziavano ad andarmi male. Io stesso facevo errori stupidi e, più passava il tempo, meno avevo fiducia in me stesso.

LE PERSONE NEGATIVE

Esistono persone che si concentrano primariamente sui lati negativi di coloro che hanno intorno. Hai mai avuto a che fare con qualcuno che, qualunque cosa tu facessi, ci trovava dei difetti? O che era sempre pronto a indicarti tutto quello che facevi male, senza essere altrettanto pronto a riconoscere tutto ciò che facevi bene? Spesso sono persone che vedono i propri simili come potenziali nemici, piuttosto che come amici. Questo atteggiamento a volte deriva da grandi fregature o sconfitte che hanno subito nel passato oppure dall’essere rimaste a loro volta associate per lungo tempo con una persona negativa. Avere a che fare per molto tempo con una persona del genere è frustrante, perché ti svuota, ti demotiva, ti rende incerto riguardo alle tue vere capacità.

LE PERSONE CON SCARSO SENSO ETICO

Queste sono persone che spesso o volentieri sono coinvolte in attività non etiche. Tradiscono o rubano o truffano. Le persone con uno scarso senso etico sono pessimi amici di viaggio. Proprio perché tradiscono il coniuge o mentono, stai pur tranquillo che prima o poi mentiranno anche a te. Ma il fatto che mentiranno anche a te è il meno. Alla lunga, continuando a frequentarle, tu stesso sperimenterai un peggioramento del tuo senso etico e la tua vita comincerà ad ingarbugliarsi.

LE PERSONE CHE NON SI METTONO IN DISCUSSIONE

Mettersi costantemente in discussione è una grande caratteristica della persona di successo. Con il mondo che cambia velocemente, con il tuo progetto o la tua impresa che cresce, la capacità di correggere se stessi è fondamentale. Stai attento a chi non lo fa, perché prima o poi, avendo a che fare con loro, la loro riluttanza a mettersi in discussione ti farà pensare “che forse il problema sei tu”. E quando arrivi a pensare quello, ti devasteranno.

LE PERSONE CHE NON CREDONO IN TE

Per avere successo devi avere vicino degli amici che credono in te. Le persone che non credono in te non sono buoni amici, perché metteranno in luce tutte le tue lacune e le amplificheranno. Circondati di persone capaci e che credano in te.

 

IN PRATICA

Quando hai a che fare con persone delle cinque tipologie che ti ho appena descritto, attiva l’anti virus e fai molta attenzione! Se dovessi avere persone nel tuo ambiente con le caratteristiche di cui sopra devi intraprendere rapidamente delle azioni correttive. Altrimenti, così come il computer che, infettato da un virus, inizia a mandare e-mail infette a tutta la lista di indirizzi, comincerai a tua volta a utilizzare quelle stesse caratteristiche con le persone che interagiscono con te.

Non aggredirle, non andarci in scontro, non elencare tutti i difetti che hanno, rimani una bella persona. Prova a metterti in discussione tu, prova a cambiare il tuo atteggiamento. Guarda sinceramente se c’è qualcosa che stai facendo tu che non è ottimale nei loro confronti.

Poi prova a influenzarle facendo leva sui loro lati positivi. Se non le influenzi, sai già come andrà a finire, tu stesso regredirai e tornerai a commettere le stesse azioni negative che abbiamo gestito durante la quinta regola.

Dopo aver provato un certo numero di volte, se vedi che non c’è stato nessun miglioramento o nessun miglioramento apprezzabile, devi sapere che se continui a frequentarle assiduamente te ne tornerai nell’invisibilità, ma non solo.

Frequentando le persone nocive si arriva un po’ alla volta a credere che tutta l’umanità sia composta di persone simili. Non è vero. Là fuori ci sono anche tante persone positive che sono contente se hai successo, che vogliono aiutare gli altri e che cercano di mettere in luce il bello e il positivo, piuttosto che il tetro e il cupo.

I compagni che scegli determineranno il tuo destino.

Se vuoi volare con le aquile, devi smetterla di frequentare i tacchini, e soprattutto… i cacciatori.

 (fonte Paolo Ruggeri)

TRE GRADINI PER IL BARATRO

Antonio Conese

da il Manifesto, 8 marzo 2015

L’urto del pensiero

Tre gradini per il baratro

ita roves[1]

 È inu­tile girarci intorno. Tre sono i gra­dini che pote­vano con­durre il nostro Paese nel bara­tro. Ed è bene sapere che li abbiamo già per­corsi tutti e tre con appa­rente e beata inco­scienza. Il primo è quello della deriva etico-morale. Un Paese che non è riu­scito a tra­smet­tere ai pro­pri cit­ta­dini il senso della res publica, quindi del bene col­let­tivo e del patri­mo­nio nazio­nale; un Paese che non sa creare le con­di­zioni e le dina­mi­che per­ché fra i suoi abi­tanti, nei vari gan­gli vitali della sfera sociale, pos­sano emer­gere i più pre­pa­rati, i più volen­te­rosi, i più meri­te­voli, pro­prio per­ché anche così possa sal­va­guar­darsi e cre­scere lo stesso bene comune, ebbene que­sto Paese è già morto. È come una stella di cui ancora vediamo la luce pur sapendo che in realtà si è già spenta, e per que­sto non potrà con­ti­nuare a esi­stere nella rin­no­vata costel­la­zione. La poli­tica degra­data al livello…

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E Bitonto ritrova se stessa.

Buon 2016.
Il primo articolo di questo blog si apre con una notizia che, fino a qualche anno fa, non sarebbe potuta apparire nemmeno delle fantasie di ubriachi cocainomani, ebbri di funghi e visioni mistiche. Stiamo parlando della “rivoluzione culturale” che ha colpito la mia cittadina natìa: Bitonto. A pochi chilometri a nord di Bari, sul primo gradino della Murgia Barese, patria degli antichi Peuceti (o Peucezi), si ritrova a fare il bilancio di un 2015 veramente eccezionale, culminato con il CapoDanze, festival della cultura popolare, alla sua diciassettesima edizione, a cura dell’associazione culturale dauna Folkarte. In questa edizione gruppi di musica popolare provenienti da Francia, Romania, Toscana, Puglia, Veneto e Campania si esibiscono nelle loro migliori performance per diffondere il loro messaggio di pace, di cultura e di socialità.

Questo è il filmato di presentazione dell’evento

L’Amministrazione Comunale, guidata dal Sindaco, Dott. Michele Abbaticchio, con la preziosa assistenza dell’Assessore al Marketing Territoriale, Dott. Rino Mangini, ha saputo coordinare una splendida annata fatta di eventi di successo che si sono svolti durante tutto l’anno.

Il filmato del 31 dicembre 2015, realizzato in piazza Cattedrale da Mimmo Latilla, parla chiaro.


 

Dal canto mio non posso che essere felice di constatare che l’appello rivolto alla comunità bitontina, nel corso delle elezioni amministrative del 2012 alla riscoperta delle proprie origini, del proprio senso di socialità e di convivenza, hanno avuto effetto. “Dobbiamo diventare tutti briganti, dobbiamo essere noi i difensori della nostra terra, della nostra storia, delle nostre tradizioni, della nostra cultura. Il brigante non usa armi, ma usa la caparbietà per ottenere il rispetto della sua essenza”: questo l’appello rivolto alla gente nel corso dell’ultima competizione elettorale dal sottoscritto.
Auspicavo una presa di coscienza da parte dei cittadini, la voglia di riscatto, di rispetto del proprio ambiente naturale. Desideravo vedere persone che gioivano a sentir parlare la propria lingua locale, le proprie canzoni, gli aneddoti, riscoprire i luoghi, i monumenti, i personaggi. Nessuno si sarebbe dovuto vergognare di dire “io sono di Bitonto“. Affermare le proprie origini deve essere il primo baluardo da difendere in ogni occasione, perchè sulle proprie origini si costruisce il futuro. Se non hai coscienza del tuo passato, non avrai mai le prospettive di progresso.

E’ stato un anno memorabile il 2015 per la comunità bitontina, ma non è che un punto di partenza. Il Bitonto Blues Festival, il Beat Onto Jazz, il Traetta Opera Festival, ma anche altre manifestazioni legate ai musei (ce ne sono ben tre:la Galleria Nazionale della Puglia “Devanna”, il Museo Archeologico De Palo e il Museo Diocesano, oltre al Torrione Angioino e una quarantina di dimore storiche, certificate dall’A.D.S.I.), eventi culturali legati alla letteratura, alla poesia, allo spettacolo.
L’arrivo a Bitonto del Commissariato del Ministero della Difesa Austriaco, consigliere dell’ordine della Croce Nera Austriaca, per commemorare i caduti austriaci nella Battaglia del 1734, rappresenta una ulteriore conferma della vocazione internazionale raggiunta da questa cittadina.

CapoDanze possiamo considerarlo come la ciliegina sulla torta, a coronamento di un lavoro di cesellatura pignolo e incessante.
A questo evento di fine anno si sono coordinati oltre 250 operatori, di cui provo a nominarne almeno i più importanti:

Musicisti, gruppi e insegnanti partecipanti:
DUO ABSYNTE (Francia) bal folk
ERIC THEZE’ (Francia) bal folk
DUO A. SANGINETO –S. BALDAN (Veneto) bal folk
TREQUARTI (Napoli) bal folk

OFFICINA ZOE’ (Salento) pizziche
CANTORI DI CARPINO (Gargano) tarantelle
MALARAZZA (Salento) pizziche
TERRAEMARES (Campania) tammurriate
RAFFAELE INSERRA E ‘A VOCE STESA (tammurriate)
SCUOLA DI TARANTELLA (Montemarano) tarant. montemaranese
TARANTELLA NON STOP (Caulonia –Calabria) tarantelle calabresi
FOLKEMIGRA (Bitonto –BA) danze del sud
RE PAMBANELLE (Bitonto –BA) danze del sud

CORSI DI DANZE
DANIEL SANDU (Romania- Olanda) danze gipsy e rumene (28-30 dic.)
NOEMI BASSANI (Varese) danze internazionali (28-30 dic.)
ERIC THEZE’ (Francia) danze impari (29 dic.-1 gen.)
CLAUDIO CESARONI (Firenze) varianti di bourrèes e irlandesi (28 dic. -1 gen.)
CIRO TROISE (Roma) Varianti di scottish e mazurche francesi (28-31 dic.)
ADRIANO SANGINETO e STEFANO BALDAN (congò e rondò) (31 dic.-1 gen.)
MARYAM RAQQAS (Bari) danze egiziane (29-30 dic.)
GIOVANNI MAURO (Salerno) tammurriata dell’Agro (29 dic.)
HIRAM SALSANO e CATELLO GARGIULO (Campania) tammurriata di Pimonte (30-31 dic.)
OFFICINA ZOE’ (Salento) danza, canto e tamburello (31-dic)
FLORIANA GUIDA (Salento) pizzica (29 dic. 1 gen.)
NICOLINO GENTILE (Carpino) canto e danza
FABIO CHIERA (Calabria) tarant. calabrese Basso Jonio (1 gen.)
ROBERTO D’AGNESE (Montemarano –AV) tarant. Montemaranese (31 dic.)

CORSI DI STRUMENTO E PERCUSSIONI
AURELIEN CLARAMBAUX (Francia) organetto
FABIO CHIERA (Calabria) organetto
RAFFAELLE INSERRA (Tammorra)
LIVIO GRECO (Tamburello)
( Fonte web: www.zingaria.com)

Inutile dire che tutte le strutture turistiche hanno registrato il “tutto esaurito”, con somma soddisfazione degli stessi operatori.


Avete bisogno di ulteriori conferme? Non penso!
Riscoprire le proprie origini fa bene a tutti. Sapere chi siamo stati è lo stimolo principale per poter decidere il proprio futuro, il proprio cammino di crescita.
Bitonto è sulla buona strada: ha ritrovato se stessa.

Auguri di un felice 2016

Guerra e Pace

Credete veramente che la gente voglia la guerra? Volete farmi credere che le famiglie, le mamme, le ragazzine e i ragazzini palestinesi, curdi, cerchino di fare la guerra? E dove avete studiato la storia? Al C.E.P.U? La guerra serve solo ad aumentare gli introiti per le banche, per l’industria pesante, per le multinazionali. Al popolo resta la fame, la sofferenza, la miseria. Gli statisti risolvono le guerre con i trattati, con gli accordi, con la Pace. I politici risolvono la pace con la guerra.

Questo mio piccolo scritto vuol essere un augurio di pace a tutti coloro che soffrono per colpa delle guerre. Gente che vorrebbe lavorare, fare l’amore, gioire con i propri figli del prossimo raccolto, vorrebbe bere vino con il vicino. Vorrebbe alzarsi di notte per fare il pane, per raccogliere le uova ancora calde, andare con i figli in riva al mare a raccogliere alghe e conchiglie. Gente che vorrebbe ancora ascoltare i vecchi genitori raccontare storie bellissime, ricette magiche e millenarie, magari accanto al fuoco dove buttare bucce di mandarini. Gente che vorrebbe cantare e ballare alla fine del raccolto, alla fine dell’estate, alla fine del giorno delle nozze. Gente che invece è costretta a combattere.

Auguro a tutti che la Luce riesca ad illuminare le vostre menti, che sia un vero Natale per tutti.

Questo Natale lo dedico alle donne curde, rappresentanti della Vita in un mondo di morte.